Le misure restrittive che il governo ha adottato contro il coronavirus tramite il DCPM del 11.3.2020,[1] hanno portato alla sospensione di un gran numero di attività commerciali, con grave incidenza sui rapporti contrattuali in essere. Con questo articolo si cercherà di focalizzare l’attenzione sui contratti di agenzia e di distribuzione, cercando di comprendere quelli che sono i rimedi che vengono forniti dal nostro ordinamento per gestire le problematiche che più verosimilmente potranno insorgere tra le parti.

In materia contrattuale, a seguito del succitato provvedimento ministeriale, il legislatore non è intervenuto con provvedimenti ad hoc (si riscontrano unicamente in tema di agenzia alcuni provvedimenti di carattere prevalentemente tributario e contributivo),[2] limitandosi a disporre all’art. 91 Decreto Legge 18 marzo 2020, meglio conosciuto come “Cura-Italia”, in tema di “disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento”,quanto segue:

“il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”

Il senso di tale provvedimento normativo sembrerebbe demandare al giudice una valutazione più accurata e prudenziale di un eventuale inadempimento colpevole (art. 1218 c.c.) causato dal “rispetto delle misure di contenimento” della pandemia, anche ai fini della quantificazione del danno (art. 1223 c.c.), elevando il rispetto di tali misure a parametro di valutazione dell’imputabilità e dell’importanza dell’inadempimento (art. 1455 c.c.).

1. La disciplina civilistica.

Come è noto, l’art. 1218 c.c. fissa i criteri per determinare la responsabilità del debitore che non adempie la propria obbligazione, prevedendone l’esonero di una sua responsabilità per danni (art. 1223 c.c.) ogni qualvolta l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile (ex art. 1256 c.c.).[3]

L’art. 1256 c.c. prevede altresì che l’impossibilità sopravvenuta possa portare all’estinzione dell’obbligazione, dovendosi comunque distinguere tra la fattispecie di impossibilità definitiva e impossibilità temporanea. Mentre la prima, essendo irreversibile, estingue l’obbligazione automaticamente (ex art. 1256, 1 comma c.c.), la seconda determina l’estinzione dell’obbligazione solo se perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione, il debitore non può più essere tenuto obbligato ad eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.[4]

Posto che nei contratti a prestazioni corrispettive l’impossibilità di eseguire un’obbligazione, non sempre comporta automaticamente l’impossibilità di adempiere la controprestazione (ad es. se il venditore non può consegnare un prodotto, il compratore potrà essere ancora in grado di pagare il prezzo della cosa venduta)[5] il legislatore ha inteso tutelare la parte che ha subito l’inadempimento, disponendo all’art. 1460 c.c. che ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che non sia diversamente pattuito contrattualmente (quindi il venditore può rifiutare di provvedere al pagamento, se il produttore non consegna la merce).

Tale eccezione potrà comunque essere sollevata solamente se vi è proporzionalità tra le due prestazioni, tenuto conto della loro rispettiva incidenza sull’equilibrio del rapporto.[6]

Al fine di evitare che il rapporto contrattuale si trasformi in un “limbo” in cui entrambe le parti si limitino unicamente a dichiarare di non volere adempiere alle loro rispettive obbligazioni, qualora l’inadempimento (nel nostro caso del venditore) dipende da fattori esterni sopravvenuti (ad es. le misure sospensive del covid-19) il legislatore (riprendendo i principi generali dettati in tema di risolubilità del contratto per inadempimento, di cui all’art. 1453 c.c.), conferisce alla parti alcuni rimedi, per i casi in cui l’impossibilità sia totale, oppure solamente parziale.

L’art. 1463 c.c. (impossibilità totale) prevede che la parte che è stata liberata dalla propria obbligazione a causa della sopravvenuta impossibilità di adempiere alla stessa (ad es. il venditore che a causa del covid-19 non può più consegnare la frutta che è deperita, in quanto non è stato possibile effettuare la raccolta durante la pandemia), non può pretendere la controprestazione (quindi pagamento del prezzo) e deve altresì restituire ciò che ha eventuamente già ricevuto (ad esempio un anticipo).

L’art. 1464 c.c. (impossibilità parziale) dispone invece che quando la prestazione di una parte è divenuta parzialmente impossibile (ad esempio consegna del 50% della merce venduta), l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta (pagamento del 50% della merce consegnata), ovvero può sciogliere il contratto, qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

Quindi, mentre nel caso di impossibilità totale l’estinzione del rapporto contrattuale opera di diritto, in quella parziale la parte che subisce l’inadempimento può optare tra un adempimento parzialmente proporzionato, ovvero (se vi è un interesse apprezzabile) alla risoluzione del rapporto contrattuale.

Ancora differente è la fattispecie disciplinata dagli art. 1467 c.c. ss., relativa ai rapporti a prestazione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, ove a causa di fattori esterni l’adempimento della prestazione di una delle parti richieda degli sforzi che sono eccessivi e sproporzionati, rispetto a quelli che erano richiedibili una volta che il rapporto era stato stipulato. Anche in tal caso, la parte che subisce l’eccessiva onerosità della prestazione, potrà domandare la risoluzione del rapporto contrattuale, qualora si venga a creare un grave squilibrio economico tra prestazione e controprestazione.

In questo caso, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo (ex art. 1467, comma 3 c.c.) di modificare equamente le condizioni del contratto fino a ricondurre il rapporto tra le prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto.

È assai importante sottolineare quindi che l’ordinamento non prevede un obbligo delle parti a rinegoziare e riprogrammare il rapporto medesimo, potendosi riscontrare tale fattispecie unicamente nell’ipotesi qui sopra richiamata. A parere di chi scrive, tale obbligo non si può neppure ricavare da un’applicazione estensiva del principio di buona fede di cui all’art. 1374 c.c., che ha ad oggetto la differente fattispecie di “integrazione del contratto”, nei casi di incompleta o ambigua espressione della volontà dei contraenti (e non di modifica dei termini pattizi, in caso di variazioni della posizione di equilibrio del rapporto contrattuale per fatti non imputabili alle parti).[7]

Tenuto conto che questi sono gli strumenti offerti dall’ordinamento, andiamo qui di seguito a cercare di rispondere ad alcune di quelle che sono le problematiche che potranno emergere nell’ambito della distribuzione commerciale, tenuto conto che il richiamo del legislatore agli istituti di cui agli art. 1218 c.c. e 1223 c.c., fa pensare che la preoccupazione del legislatore fosse soprattutto di mantenere in vita i rapporti contrattuali, laddove possibile e rispondente all’interesse delle parti.[8]


2. Effetti sui contratti di distribuzione
2.1. Cosa succede se il produttore non può più rifornire i propri distributori e/o clienti a causa del coronavirus?

In linea di massima, qualora il produttore non possa rifornire i propri distributori a causa di un blocco e/o rallentamento della produzione dovuta all’attuazione delle misure restrittive governative, questi non potrà essere ritenuto responsabile per tali ritardi se l’impossibilità era originaria (quindi non conosciuta al momento in cui era sorta l’obbligazione) e si sia verificata dopo la mora del debitore (art. 1219 c.c.), trovandosi il contratto in uno stato di “quiescenza”.

Se per la consegna della merce era stato previsto (espressamente o implicitamente)[9] un termine essenziale (art. 1457 c.c.), il rapporto si risolverà di diritto una volta scaduto il termine.

Qualora invece il termine della consegna della merce non sia essenziale, il rapporto contrattuale si estingue se l’impossibilità perdura fino a quanto questi non può più essere ritenuto obbligato a eseguirla, ovvero qualora nelle more venga meno l’interesse dell’acquirente a ottenere la prestazione.[10] È fatto comunque salvo il diritto dell’acquirente di non sciogliere il rapporto e chiedere unicamente una riduzione del prezzo, qualora la prestazione venga/possa essere eseguita solamente parzialmente (consegna ad es. di un solo lotto della merce acquistata).

2.2. L’accordo di distribuzione può essere risolto a causa degli della pandemia?

La tematica dello scioglimento del rapporto di distribuzione è stata già trattata in questo blog e si richiama tale articolo per eventuali approfondimenti.

Il recesso dal contratto di concessione di vendita (o di distribuzione che dir si voglia…).

Come si è avuto di spiegare (brevemente) nella parte introduttiva dell’articolo, la parte che “subisce” l’inadempimento temporaneo, può risolvere il rapporto se non ha interesse alla continuazione parziale della prestazione. Pertanto, posto che a causa del covid-19 il rapporto di distribuzione viene interrotto per un termine che può essere più o meno prolungato, l’interesse alla continuazione del contratto di distribuzione deve essere certamente calibrato tenuto conto principalmente di due fattori: la durata effettiva dell’evento (in questo caso la pandemia) e la durata residua del contratto.

In linea di massima, si può affermare che tanto più prolungati saranno gli effetti del blocco e tanto più prossima sarà la data di scadenza naturale del rapporto, tanto maggiori saranno le possibilità di risolvere il rapporto obbligatorio. Certamente in tale valutazione, si dovrà altresì tenere conto di quelli che sono gli effetti indiretti delle misure restrittive, collegati ad una ragionevole aspettativa di una delle parti del perpetuarsi di un calo assai importante del commercio anche a seguito del venir meno del blocco.

Inoltre, qualora una delle parti sia contrattualmente tenuta a sostenere costi elevati per il mantenimento del rapporto di distribuzione (locazione, dipendenti, collaboratori, showroom, etc.) che rendono la collaborazione di fatto non più sostenibile, questi potrà valutare di risolvere il rapporto per eccessiva onerosità ex. art. 1467 c.c.

In questo caso, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo (art. 1467, comma 3 c.c.) di modificare equamente le condizioni del contratto fino a ricondurre il rapporto tra le prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto.

2.3. Le parti possono non rispettare il patto di non concorrenza?

Il patto di concorrenza nei rapporti di distribuzione (e di agenzia) può essere pattuito in duplice modo, ossia:

  • il produttore si impegna a rifornire solamente il distributore in un determinato territorio;
  • il distributore si impegna ad acquistare determinati prodotti solamente dal produttore.

Se a causa del covid-19 il produttore non può più rifornire il proprio distributore perché gli è stato imposto il blocco della produzione, ovvero il distributore non può più eseguire la propria prestazione a causa del blocco, nonostante il produttore abbia la possibilità di rifornirlo (ad es. perché aveva in stock il materiale), ci si chiede se la parte che non ha più interesse a mantenere l’obbligo di non concorrenza per fatto imputabile all’altro contraente, possa decidere di non adempiere ai propri obblighi utilizzando gli strumenti giuridici qui sopra richiamati.

Partendo dal presupposto che l’ordinamento non prevede alcun obbligo delle parti di rinegoziare l’originario assetto contrattuale,[11] non si ritiene possa desumersi l’esistenza di un principio che autorizzi una parte a obbligare l’altra a modifica il contratto in funzione di un riequilibrio.

Ne consegue che una sospensione temporanea della clausola di non concorrenza (a parere di chi scrive) non è giuridicamente fondata, se ciò non deriva da un accordo di entrambe le parti. Contrariamente, qualora il divieto di svolgere attività “in concorrenza” per il periodo in questione crei delle condizioni non sostenibili, si può eventualmente considerare l’ipotesi di risolvere il rapporto contrattuale per impossibilità sopravvenuta, oppure per eccessiva onerosità.

2.4. I budget pubblicitari devono essere forniti e spesi come concordato anche se la distribuzione non è possibile a causa della pandemia?

Qualora una delle parti sia contrattualmente tenuto a sostenere dei costi fissi per attività di marketing e pubblicitaria, potrebbe trovarsi nella posizione di decidere di non affrontare tali spese ritenendo che le stesse non siano necessarie a causa del blocco della produzione.

Per comprendere se (e quali) attività di marketing possano essere bloccate, bisogna analizzare la natura delle singole attività di pubblicità/azioni di marketing. Tendenzialmente si può affermare che tutte quelle attività “generali” che servono a mantenere il posizionamento del marchio all’interno del mercato, devono essere eseguite anche in caso di blocco della distribuzione, essendo di fatto necessarie propedeutiche alla riapertura.

Un ragionamento diverso bisognerebbe fare sulle attività di marketing relative alle azioni di vendita che non possono essere eseguite durante la pandemia. In tal caso, il problema non è tanto che tali prestazioni non possono essere eseguite (e quindi permettano di invocare l’impossibilità sopravvenuta), quanto piuttosto il fatto che le stesse non portano alcun vantaggio commerciale al soggetto che le promuove; inoltre molto spesso tali spese non graveranno economicamente così tanto sul soggetto tenuto a sostenerle, da potere sostenere la rottura dell’equilibrio contrattuale e, quindi, permettere di invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

In tal caso, qualora le parti non trovino un accordo, la parte tenuta a svolgere l’attività promozionale, potrebbe avere come unica arma (assai spuntata) quella di decidere di non adempiere e quindi di non svolgere tali attività, puntando essenzialmente sul fatto che l’inadempimento possa essere ritenuto dal giudice (tenuto conto anche dell’art. 91 Decreto Cura Italia sopra richiamato)  di scarsa importanza (art. 1455 c.c.), tenuto conto che la prestazione, non avrebbe comunque portato alcun vantaggio commerciale alle parti.


3. Effetti sui contratti di agenzia
3.1. Il preponente deve ancora pagare un fisso provvigionale/rimborso spese, se concordato contrattualmente?

Soprattutto nei contratti di agenzia, è spesso previsto che l’imprenditore paghi un fisso mensile (a titolo di rimborso spese, oppure come provvigione fissa) a cui normalmente si aggiunge una parte variabile.

In questo periodo, dato che l’attività di promozione è stata di fatto in gran parte bloccata, ci si chiede se il preponente possa decidere di togliere (almeno tale fase) questa parte fissa.

Come si è avuto modo di rilevare, seppure l’ordinamento non prevede uno strumento che legittima una parte a modificare unilateralmente il contratto, non è per nulla atipico riscontrare nei contratti di agenzia delle clausole contrattuali che conferiscono al preponente il diritto potestativo di modificare unilateralmente le provvigioni, il territorio e/o i clienti dell’agente.

Cfr. Le modifiche unilaterali del contratto di agenzia da parte del preponente.

Secondo l’orientamento prevalente della Corte, l’attribuzione al preponente di tale potere deve “essere giustificata dalla necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il corso del tempo”.[12] Si può quindi ritenere che l’adeguamento del compenso provvigionale a causa del covid-19, possa essere attuato legittimamente, solamente se vi sia una clausola contrattuale che preveda tale facoltà in capo al preponente, il quale sarà comunque tenuto ad avvalersene in maniera ragionevole ed adeguata.

Diverso discorso, invece, se al contratto di agenzia si applicano gli AEC, i quali conferiscono sì da un lato la possibilità del preponente di modificare le provvigioni dell’agente, ma dall’altro lato il diritto dell’agente di rifiutare le modifiche e chiudere il rapporto per giusta causa se tali modifiche siano significative (sul tema cfr. modifiche provvigioni in base agli AEC). Si ritiene che tale norma non possa essere alterata a favore del preponente neppure tenuto conto dell’impatto che il covid-19 ha avuto sulla rete vendita del preponente, il quale dovrà essere consapevole che una eventuale modifica delle provvigioni, potrà condurre a uno scioglimento del rapporto per giusta causa da parte del proprio agente.

3.2. Cosa devono fare gli agenti se non possono visitare i propri clienti?

È chiaro che se l’agente che non può più andare a visitare i propri clienti, non potrà essere costretto a svolgere tali adempimenti; inoltre, se prima della pandemia questi non svolgeva alcuna attività di promozione online e non era contrattualmente obbligato a fare ciò, il preponente non potrà certamente imporre al proprio agente degli sforzi sproporzionati, richiedendo a questi di iniziare una attività di promozione “telematica”, tramite l’utilizzo di nuovi strumenti informatici.

3.3. Quali sono le conseguenze del mancato raggiungimento dei minimi di fatturato a causa del covid-19?

Negli ultimi anni, si sta sempre più affermando l’orientamento giurisprudenziale[13] che, seppure conferma la pacifica applicabilità della norma generale di cui all’art. 1456 c.c.  in tema di clausola risolutiva espressa, ha tuttavia precisato che al fine di azionare legittimamente il relativo meccanismo risolutorio, il giudice deve comunque accertare la sussistenza di un grave inadempimento, integrante gli estremi della giusta causa.[14]

Cfr. La clausola di “minimi di fatturato” nel contratto di agenzia.

Seguendo tale orientamento, il mancato raggiungimento dei minimi di fatturato a causa del covid-19, non potrà essere considerato di per sé inadempimento tale da legittimare uno scioglimento del rapporto per fatto imputabile all’agente, dovendo comunque il giudice valutare caso per caso l’effettiva imputabilità e colpevolezza di tale inottemperanza.

3.4. L’agente commerciale conserva il diritto alla provvigione se il cliente scioglie il contratto con il preponente a causa del coronavirus?

Se il cliente risolve il contratto con il preponente a causa del coronavirus (ad esempio perché il suo negozio ha dovuto chiudere o i suoi trasportatori si sono fermati), si pone la questione se l’agente commerciale perda il diritto alla provvigione ai sensi dell’art. 1748 c.c.

L’attuale art. 1748, 6 comma c.c. prevede che l’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse nella sola ipotesi in cui il contratto tra preponente e terzo non è stato eseguito per cause non imputabili al preponente (norma tra l’altro inderogabile dalle parti).

La nozione di causa imputabile al preponente è stata intesa come qualsiasi comportamento doloso o colposo del preponente che abbia determinato la mancata esecuzione del contratto.[15]

Posto che l’inadempimento contrattuale del cliente per impossibilità e/o eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (a causa del coronavirus) non è un fatto imputabile al preponente, l’agente non avrà diritto a percepire la provvigione su tale affare e sarà tenuto a restituirla al nel caso in cui questa fosse stata già integralmente o parzialmente versata.

3.5. Le ripercussioni sulle indennità di mancato preavviso e fine rapporto.

Come è noto le parti hanno il diritto di chiudere il rapporto riconoscendo all’altra parte un preavviso. L’agente a seguito dello scioglimento del contratto ha diritto ad un’indennità di fine rapporto, salvo il fatto che:

  • il preponente risolve il contratto, per un fatto imputabile all’agente;
  • l’agente recede dal contratto, per fatto imputabile all’agente.

Tenuto conto di quanto sopra esposto, si può ragionevolmente sostenere che i ragionamenti fatti al precedente paragrafo “L’accordo di distribuzione può essere risolto a causa degli effetti della pandemia di Corona?” possano essere in linea di massima validi anche per il contratto di agenzia, dovendo comunque essere consapevoli che è comunque necessario operare con massima attenzione e consapevolezza prima di procedere alla chiusura del rapporto contrattuale, valutando prudenzialmente caso per caso.

Una cosa comunque è certa, che tale pandemia avrà un rilevante effetto sui calcoli dell’indennità di fine rapporto e di mancato preavviso per tutte le cessazioni dei contratti che avvengono in prossimità dell’arrivo della pandemia.

Se tali indennità dovessero venire eccessivamente distorte a causa del quadro economico collegato al covid-19, ci si chiede se l’agente possa integrarle avvalendosi del diritto garantito dall’art. 1751, comma 4 c.c., che riconosce all’agente il diritto di richiedere un risarcimento del danno ulteriore rispetto a suddette indennità.

L’orientamento prevalente sostiene che i danni che l’agente può richiedere in aggiunta all’indennità siano unicamente quelli da inadempimento o fatto illecito.[16] Ne consegue che sarà assai complesso per l’agente richiedere ulteriori somme, oltre quelle a questi riconosciute a titolo di indennità di fine rapporto, tenuto conto che il calo di fatturato (che ha comportato la diminuzione delle indennità), difficilmente potrà essere imputabile ad una colpa del preponente.


[1] Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale.

[2] Limatola, Novità in materia di contratti di agenzia nel mese di aprile 2020.

[3] Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, § 310, CEDAM.

[4] Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, §210, Giuffrè Editore.

[5] In tal caso non rileveranno in ogni caso le difficoltà finanziare del debitore, sul punto Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane.

[6] Cass. Civ. 2016, n. 22626.

[7] Sul punto, cfr. Vertucci, L’inadempimento delle obbligazioni al tempo del coronavirus: prime riflessioni, ilcaso.it

[8] Vertucci, op. cit.

[9] Cfr. Cass. Civ. Cass. del 2013, n. 3710: l’essenzialità è una caratteristica che deve risultare o dalla volontà espressa delle parti o dalla natura del contratto.

[10] Cfr. sul punto Studio Chiomenti, Incidenza del Covid-19 sui contratti.

[11] Cfr. sul punto Vertucci, op. cit.

[12] Cfr. Cass. Civ. 2000, n. 5467.

[13] Cass. Civ. 2011, n. 10934, Cass. Civ. 2012, n. 8295.

[14] Venezia, Il recesso, la giusta causa e la clausola risolutiva espressa nel contratto di agenzia, marzo 2020, La consulenza del lavoro, Eutekne.

[15] Toffoletto, Il contratto di agenzia, Giuffrè.

[16] Bortolotti, Indennità di cessazione e risarcimento di danni ulteriori, www.mglobale.it