Negli ultimi anni, dottrina e giurisprudenza si sono spinte ad ampliare il concetto di buona fede in ambito di esecuzione contrattuale, definendo in maniera sempre più estesa quelli che sono gli effettivi obblighi delle parti in tutte le fasi dello svolgimento del contratto.

È principio ormai consolidato quello secondo cui  la buona fede, cioè la reciproca lealtà di condotta, debba presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e accompagnarlo in ogni sua fase. Tale obbligo impone, quindi, di considerare gli interessi che non sono oggetto di una tutela specifica e la lealtà del comportamento nell’esecuzione della prestazione stessa.

La buona fede nell’esecuzione del contratto, dunque,

“…..si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal , trovando tale impegno solidaristico il suo limite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico…..”[1]

Si ricorda inoltre che

“…..il comportamento secondo buona fede e correttezza del singolo contraente è finalizzato, nel rispetto del contemperamento dei rispettivi interessi, ad una tutela delle posizioni e delle aspettative dell’altra parte; in tale contesto è legittimo configurare quali componenti del rapporto obbligatorio i doveri strumentali al soddisfacimento dei diritti delle parti contraenti, cosicché è stato ritenuto che anche la mera inerzia cosciente e volontaria, che sia di ostacolo al soddisfacimento del diritto della controparte, ripercuotendosi negativamente sul risultato finale avuto di mira nel regolamento contrattuale degli opposti interessi, contrasta con i doveri di correttezza e di buona fede e può quindi configurare inadempimento.[2]

Quindi, il dovere di buona fede non è solo sinonimo di astensione dal porre in essere atti lesivi degli interessi di controparte, ma deve essere interpretato come un obbligo propositivo di una parte di porre in essere tutte quelle attenzioni volte ad evitare il pregiudizio delle posizioni dell’altro contraente.

Si è visto, infatti, che la giurisprudenza partendo dal presupposto che anche un comportamento inerte di un contraente può recare dei danni all’altra parte, ha ritenuto che un comportamento omissivo può ritenersi contrario a buona fede, qualora non risulti che l’inerzia sia stata dettata solamente dalla necessità del contraente a non ledere i propri interessi.

Il dovere di buona fede deve spingere le parti a porre in essere tutti quei comportamenti che sono atti a preservare gli interessi dell’altro contraente e il limite che si interpone a questo obbligo è unicamente l’interesse proprio del soggetto contraente.