[:it]Cosa succede se si conclude un contratto su internet, attraverso un sito straniero e, a seguito della conclusione si rilevando  delle problematiche relative al contratto stipulato?

A quale Giudice devo rivolgermi? Chi ha la competenza. 

Per risolvere questa domanda, nella maniera più sintetica possibile, bisogna in primo luogo leggere gli artt. 15 e 16 del regolamento 44/2001.

Tali articoli prevedono che:

  •  il consumatore ha possibilità di agire presso lo stato dove è domiciliato, oppure avanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato controparte;
  • l’altra parte ha invece l’obbligo di promuovere l’azione solo davanti ai giudici dello Stato membro.

La risposta potrebbe risultare, in una prima analisi, piuttosto semplice.

In realtà se si approfondisce l’art. 15 lett. c), suddette disposizioni si applicano solamente nei casi in cui “il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali [..] sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro o verso una pluralità di stati.

A questo punto, è lecito domandarsi quando un sito internet possa essere considerato un “attività dirette.” Detto più semplicemente, capire quando sia effettivamente applicabile l’art. 15 della regolamento, in tutti i casi in cui un consumatore stipula un contratto su internet, con un parte che svolge attività in uno Stato differente.

Sul punto si è espressa la dottrina e la giurisprudenza, si ricordano le sentenze della Corte di Giustizia 15.4.2010 della causa C-215/08 e del 16.10.2008, causa C-298/07.

La Corte ha avuto modo di rilevare che non è sufficiente la sola apertura di un sito internet per rendere applicabili le disposizioni in materia di un contratto di consumo. È, invece, necessario che sia rilevabile una volontà del professionista alla commercializzazione dei beni e dei servizi in un determinato Stato membro.

La Corte ha quini indicato alcuni “indizi” oggettivi che possono essere valutati a tal fine. Sul punto ha rilevato che:

  • non rileva l’indicazione dell’indirizzo email e del numero di telefono senza prefisso internazionale;
  • non rileva il fatto che il sito internet sia attivo o passivo (una mera vetrina, oppure interattivo);
  • rileva sicuramente l’indicazione di voler offrire i propri servizi in uno o più Stati membri;
  • rileva sicuramente l’impegno di risorse finanziarie per un servizio di posizionamento su internet presso il gestore di un  motore di ricerca;

Se non vi sono degli indizi così chiari, secondo la Corte si deve fare riferimento ad altri elementi da valutarsi congiuntamente, tra i quali:

  • la natura internazionale dell’attività professionale, quali talune attività turistiche;
  • l’utilizzazione della denominazione di un dominio di primo livello diverso da quello dello Stato membro in cui il professionista è stabilito o l’utilizzazione di domini neutri quali “.com” o “.eu”;
  • la menzione di una clientela internazionale composta da clienti domiciliati in Stati membri diversi, che abbiano lasciato ad esempio commenti o feedback sull’attività del professionista.
  • la lingua e la moneta, qualora il sito consenta ai consumatori di utilizzarne diverse.

Secondo la Corte, dovrebbe essere valutata l’esistenza di più elementi al fine di concludere che l’attività professionale è diretta verso uno o più Stati membri determinati.

 

 

 

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