[:it]In tema di responsabilità civile, la questione avente ad oggetto l’onere della prova del creditore che agisce al fine di chiedere l’inadempimento dell’obbligazione, ha visto impegnato fortemente la Giurisprudenza e la Dottrina, soprattutto prima dell’avvento della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, che sono intervenute al fine di
definire un contrasto giurisprudenziale.

Si ricordano brevemente i due orientamenti:

Quello maggioritario  sosteneva che il creditore è onerato di provare anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia l’inadempimento e le circostanze inerenti, in funzione della quali esso assume giuridica rilevanza, rimanendo pertanto in capo al convenuto la mera prova dell’assenza da colpe, solamente qualora l’attore abbia effettivamente provato il fatto costitutivo dell’inadempimento.[1]

Tale orientamento si basava principalmente sulla distinzione tra i rimedi previsti dall’art 1453 c.c. (adempimento, risoluzione, risarcimento del danno). Si osservava che mentre nell’azione di adempimento il fatto costitutivo è il titolo, nell’azione di risoluzione, invece, i fatti costituitivi sono due: il titolo e l’inadempimento. Pertanto, le prove richieste ex art. 2697 c.c. sono differenti in quanto fatti costitutivi sono a loro volta differenti. Nel primo caso, quindi sarà sufficiente la prova della fonte negoziale o legale del diritto di credito, nel secondo caso sarà necessario la prova sia del titolo che dell’effettivo inadempimento del debitore.

La tesi minoritaria, invece, affermava che l’onere probatorio in capo al creditore risulti essere uguale indipendentemente dall’azione da questi promossa. Nello specifico, il creditore ex art. 2697 c.c. deve provare semplicemente la fonte negoziale o legale del proprio diritto, mentre sarà il creditore ad essere onerato alla prova del fatto estintivo di tale diritto, costituito dall’avvenuto adempimento.

Suddetta tesi era fondata sul fatto che le domande di adempimento, di risoluzione per inadempimento e la domanda di risarcimento del danno da inadempimenti si collegano tutte al medesimo presupposto, costituito appunto dall’inadempimento. Tale omogeneità comporta che il principio della presunzione di persistenza del diritto, di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale una volta provata l’esistenza da parte del creditore di un diritto, grava sul debitore l’onere di dimostrare l’esistenza del fatto estintivo debba applicarsi a ognuna delle fattispecie elencate nell’art. 1453 c.c.

Le Sezioni Unite con sentenza del 2001 n. 13533 aderivano all’orientamento minoritario affermando anche che “si rileva conforme all’esigenza di non rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto del creditoreo a reagire all’inadempimento, senza peraltro penallizzare il diritto di difesa del debitore adempiente , fare applicazione del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, ponendo in ogni caso l’onere della prova a carico del soggetto nellacui sfera si è prodotto l’inadempimento”[2]

Si rileva comunque che recentemente sono intervenute alcune sentenze di Tribunali che, in controtendenza della ormai abbastanza datata sentenza delle Sez. Un. vanno ad affermare che “qualunque sia il fondamento della pretesa risarcitoria avanzata dall’attore, è indubbio che gravi su chi invoca il risarcimento del danno provare non solo l’evento dannoso, ma soprattutto la sua riconducibilità sul piano causale al fatto illecito altrui.”[3]

RIASSUMENDO

  • secondo le Sez. Un. della Cassazione In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento
  • si riscontrano esserci delle sentenze che recentemente hanno affermato che In tema dell’onere della prova, a carico del creditore che agisce per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, vi è non solo la prova dell’adempimento della propria obbligazione, ma anche la prova dell’esatto adempimento e, quindi, sembrerebbe applicabile anche alle ipotesi di vizi o difformità dell’opera, in quanto riconducibili alla categoria dell’inesatto adempimento

[1] Si veda ad esempio, Cass. Civ. 4285-94; 8336-90; 8435-96;124-70

[3] Tribunale Novara, 27/04/2010, n. 435 (nel caso di specie, il proprietario di un autoveicolo che si è incendiato non ha provato che l’incendio è stato determinato da un difetto di funzionamento dell’autoveicolo e/o da un vizio occulto e/o da una problematica dei congegni della vettura riconducibili al venditore); Cfr. Tribunale Nocera Inferiore, sez. I, 07/02/2012, “In tema dell’onere della prova, a carico del creditore che agisce per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, vi è non solo la prova dell’adempimento della propria obbligazione, ma anche la prova dell’esatto adempimento e, quindi, sembrerebbe applicabile anche alle ipotesi di vizi o difformità dell’opera, in quanto riconducibili alla categoria dell’inesatto adempimento.

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