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Cassazione civile, sez. lav. 22/08/2001 n. 11197

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                            SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Ettore   MERCURIO             - Presidente e Relatore -
Dott. Attilio  CELENTANO                      - Consigliere -
Dott. Pasquale PICONE                         - Consigliere -
Dott. Aldo     DE MATTEIS                     - Consigliere -
Dott. Bruno    BALLETTI                       - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
                              SENTENZA
sul ricorso proposto da:
JOHNSON & JOHNSON SPA,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, elettivamente domiciliato in  ROMA  VIA  ADOLFO  RAVÀ  106,
presso lo studio dell'avvocato FULVIO COMITO, che  lo  rappresenta  e
difende, giusta delega in atti;
                                                       - ricorrente -
                                contro
MASELLI DOMENICO MASSIMO;
                                                         - intimata -
avverso la sentenza n. 18047-98 del Tribunale di ROMA, depositata  il
15-10-98 R.G.N. 69192-91;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
04-04-01 dal Consigliere Dott. ETTORE MERCURIO;
udito l'Avvocato COMITO;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Antonio BUONAJUTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Roma il sig. Domenico Massimo Maselli conveniva in giudizio la Johnson & Johnson s.p.a. ed esponeva di essere stato agente di questa società a decorrere dal 22 ottobre 1984 con affidamento in esclusiva della vendita dei prodotti da essa commerciati nella zona comprendente Puglia e Basilicata ed in seguito anche parti della Calabria, e che la società convenuta era rimasta inadempiente ad obblighi contrattuali. Deduceva in particolare - tra l'altro (e per quanto rileva ai fini del presente giudizio di legittimità) - che la Johnson & Johnson non aveva mai rispettato il diritto di esclusiva concludendo a mezzo di terzi, e precisamente del "deposito Jusco Michele", contratti di vendita dei propri prodotti nel territorio di competenza di esso ricorrente; e che egli aveva chiesto alla società, senza esito, il pagamento delle provvigioni indirette maturate per gli affari conclusi dalla preponente nella anzidetta zona. Chiedeva quindi (oltre a pronuncie attinenti alla risoluzione, del rapporto e a conseguente condanne, non oggetto del giudizio di cassazione) che la società convenuta fosse condannata al pagamento delle provvigioni sugli affari indiretti conclusi dalla preponente a mezzo di altri collaboratori nella zona di esclusiva competenza di esso ricorrente.
Il Pretore, con sentenza del 16 ottobre 1990, rigettava tutte le domande del Maselli.
Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva del 15 ottobre 1998, accogliendo l'appello del Maselli, in parziale riforma della decisione pretorile, ha accolto la sopra indicata domanda, ed ha pertanto condannato la società Johnson & Johnson, in favore del Maselli, alla prestazione costituita dalla erogazione delle provvigioni sugli affari conclusi dalla società a mezzo di Jusco Michele eseguiti nella zona riservata allo stesso Maselli nel periodo corrente dal 22 ottobre 1984 sino alla data di risoluzione del contratto di agenzia, con le relative differenze economiche sulla misura dell'indennità di scioglimento del contratto, e nel resto ha confermato la decisione pretorile, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la quantificazione delle suddette spettanze.
Ha osservato il giudice d'appello che il contratto di agenzia in questione prevedeva, quale oggetto dell'incarico, la promozione in esclusiva dei prodotti commercializzati dalla azienda mediante assunzione degli ordinativi ricevuti dai clienti visitati, con esclusione dei soli grossisti, espressamente riservati alle visite dei diretti funzionari di vendita della Johnson & Johnson, e prevedeva altresì il diritto dell'agente alle provvigioni sugli affari diretti ed indiretti andati a buon fine. Ha inoltre rilevato, in punto di fatto, che la ditta di Jusco Michele aveva la reale qualità di grossista - e non di depositaria -; che il Masselli riceveva gli ordinativi, che dovevano essere successivamente confermati dal cliente al venditore del grossista Jusco, il quale stabiliva il prezzo; che il venditore del grossista trasmetteva l'ordine alla ditta Jusco la quale provvedeva alla relativa fatturazione; e che sostanzialmente l'attività di promozione svolta dal Maselli si aggiungeva a quella di organizzazione di vendita del suddetto grossista.
Il Tribunale ha quindi ritenuto di operare una interpretazione estensiva della norma del secondo comma dell'art. 1748 cod. civ., ravvisando cioè l'ipotesi della conclusione diretta degli affari da parte del preponente ogni qualvolta quest'ultimo ponga in essere un assetto tale da sottrarre, di fatto, all'agente affari che quest'ultimo avrebbe potuto concludere; ha di conseguenza ritenuto sussistente il diritto del Maselli a percepire la provvigione anche sugli affari conclusi dal grossista (Jusco) a mezzo dei propri venditori - pur se il grossista rivendeva al dettaglio prodotti a sua volta acquistati dalla Johnson & Johnson e quindi già entrati nella sua sfera di disponibilità - ritenendo che l'assetto organizzativo delle vendite era atto a realizzare in modo occulto lo storno della clientela all'agente esclusivista (ed ha richiamato sul punto Cass.
S.U. n. 539 del 1977). Ha aggiunto che, pur se il diritto di esclusiva può essere oggetto di deroga ad opera della volontà delle parti, nel caso di specie, atteso che erano espressamente pattuiti nel contratto tanto il diritto di esclusiva dell'agente quanto il diritto alle provvigioni indirette sugli affari conclusi dal preponente, doveva ritenersi che la contestuale previsione della facoltà dei preponente di vendere direttamente a grossisti, a mezzo dei propri funzionari, non costituiva elemento idoneo ad escludere l'anzidetta espressa e chiara pattuizione (quella cioè che riconosceva al Maselli il diritto sia all'esclusiva sia alle provvigioni sugli affari indiretti). Il Tribunale ha ancora osservato che lo sviamento della clientela poteva considerarsi "istituzionalizzato", nel sistema di vendita adottato nella fattispecie, in quanto i venditori del grossista Jusco erano chiamati ad operare anche nella zona di esclusiva del Maselli, senza nessuna preclusione quanto a categorie di clienti od a generi dei prodotti commercializzati, sicché l'attività svolta da tali venditori era pressoché concorrenziale a quella del Maselli.
La società Johnson & Johnson chiede la cassazione di tale sentenza con ricorso a questa Corte affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
L'intimato Maselli non è costituito.

Motivi della decisione
1. - Con il primo articolato motivo la società Johnson & Johnson denunzia falsa applicazione dell'art. 1748 secondo comma C.C., violazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1372 e 2697 C.C. e degli artt. 414 e 112 C.P.C., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.
Nega la riferibilità alla presente fattispecie della giurisprudenza richiamata dal Tribunale, siccome riguardante ipotesi - di occulto storno di clientela o di colposo svuotamento di contenuto del diritto di esclusiva - non ricorrente nel caso in esame. Pone in evidenza la previsione legale che consente la deroga pattizia ("salvo che sia diversamente pattuito": cit. art. 1748 secondo comma) alla disposizione sul diritto dell'agente alle provvigioni c.d. indirette.
Lamenta la mancata osservanza da parte del giudice d'appello dei canoni legali di ermeneutica contrattuale riguardanti specificamente l'interpretazione complessiva delle clausole, la conservazione del contratto, l'interpretazione di buona fede, il comportamento complessivo delle parti, ed altre regole codicistiche. Censura l'impugnata sentenza per aver preso in considerazione e ritenuto provati fatti che lo stesso ricorrente non aveva allegato nè provato, tra cui il cennato storno occulto di clientela; per essere incorsa, inoltre, in insanabile contraddizione ravvisando, da un lato, l'anzidetto occulto comportamento del preponente e riconoscendo, dall'altro, la "istituzionalizzazione" del sistema di vendite realizzato dalla Johnson & Johnson mediante l'intervento sia del grossista Jusco che dell'agente Maselli; e per avere violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato con il rilevare l'occulto storno di clientela nonostante la domanda del Maselli fosse basata non su tale "causa petendi" bensì sulla previsione contrattuale in sè e per sè. 2. - Questo motivo è fondato e va accolto.
Devono preliminarmente ribadirsi ed affermarsi, in punto di provvigioni c.d. "indirette" previste dal citato secondo comma dell'art. 1748 cod. civ., principi costantemente affermati da questa Corte che, ad avviso del Collegio, devono presiedere alla valutazione ed alla qualificazione giuridica degli elementi di fatto nella specie acquisiti ed alla decisione della presente controversia.
Va in particolare affermato che il diritto dell'agente alla provvigione per gli affari "indiretti" conclusi dal preponente presuppone che il contratto di agenzia sia soggetto al regime di esclusiva previsto dall'art. 1743 cod. civ.: regime che costituisce elemento e caratteristica naturale del contratto di agenzia ma che non ne è elemento essenziale, e che è pertanto validamente derogabile per volontà delle parti. E allorquando sia stata pattuita detta deroga all'esclusiva, l'agente non può far valere il diritto alle provvigioni per gli affari conclusi direttamente dal preponente giacché tale diritto è concepibile - come è evidente - in quanto la zona in cui il preponente ha concluso direttamente gli affari sia riservata in esclusiva all'agente (v. Cass. 19 marzo 1994 n. 2634; 30 maggio 1991 n. 6093; 11 giugno 1990 n. 5652; 28 gennaio 1983 n. 797).
Del pari deve escludersi il diritto dell'agente alle provvigioni indirette, allorquando le parti abbiano espressamente convenuto di escludere il diritto stesso avvalendosi della pattuizione in deroga prevista (indipendentemente, ed ulteriormente, rispetto alla derogabilità del diritto di esclusiva ex art. 1743, quale ammessa - come s'è visto - dalla giurisprudenza: cfr., in particolare, cit.
Cass. n. 6093-1991) in maniera esplicita dal citato art. 1748 secondo comma ("salvo che sia diversamente pattuito").
È stato poi pure affermato da questa Corte che la clausola di esclusiva (ex cit. art. 1743) ha un ambito di efficacia, in difetto di diverse pattuizioni, coincidente con l'oggetto del mandato, con la conseguenza che gli affari non rientranti tra quelli che l'agente deve promuovere sono estranei anche al diritto di esclusiva contrattualmente previsto (Cass. 27 maggio 1996 n. 4872). 3. - Ciò posto, l'impugnata sentenza appare anzitutto inficiata dal denunziato vizio di falsa applicazione dell'art. 1748 secondo comma c.c. sul punto dell'interpretazione dell'espressione "affari conclusi direttamente dal preponente", risultando in essa affermato che anche vendite effettuate da soggetto che, come il grossista, abbia acquistato i prodotti commerciati dal preponente e provveda poi, a sua volta, a venderli al dettaglio a mezzo di propri venditori, possano essere considerate come vendite concluse appunto "direttamente" dallo stesso preponente. Ed invero la vendita "diretta" non può che essere intesa come quella che sia effettuata da un soggetto in immediato rapporto con la controparte acquirente, nella quale dunque lo scambio tra le prestazioni corrispettive (bene trasferito contro prezzo pagato) avvenga in maniera immediata e diretta tra le due parti e cioè senza l'intervento di soggetti interposti, giuridicamente qualificabili come tali, e senza ulteriori passaggi intermedi.
Nel caso di specie il Tribunale ha accertato la vendita diretta e al dettaglio da parte del grossista Jusco agli utenti dei prodotti commerciati (dentisti, odontotecnici, cliniche, ospedali), riscontrando nel contempo la effettiva sussistenza di precedenti rapporti di vendita tra la Johnson & Johnson e la ditta Jusco e quindi riconoscendo la reale e non fittizia natura di grossista della stessa ditta Jusco. Ha invero escluso, difettando la prova in tal senso, che questa ditta fosse depositaria dei prodotti della suddetta società ed ha cosi disatteso il principale assunto del Maselli (secondo cui lo Jusco sarebbe stato soltanto apparentemente grossista ma in realtà mero depositario dei prodotti che sarebbero rimasti quindi ancora nella proprietà della Johnson & Johnson: il che avrebbe naturalmente comportato che le vendite da questa effettuate per mezzo della ditta Jusco fossero configurabili come affari conclusi direttamente dalla prima società); e nessuna impugnativa è stata sul punto proposta dal Maselli, non costituitosi nel presente giudizio.
Nel contempo va pure ravvisata la dedotta contraddittorietà di motivazione dell'impugnata sentenza per il fatto che il giudice d'appello ha, da un lato, nell'accertare il contenuto del contratto individuale, e nel riferire che tale contratto prevedeva la deroga all'esclusiva solo per le vendite ai grossisti effettuate dalla Johnson & Johnson a mezzo dei propri diretti funzionari di vendita, ritenuto ed affermato che il sistema di vendita dei prodotti della Johnson & Johnson - organizzato nel senso che il Maselli svolgeva la sua attività di agente nella zona di competenza, mentre contestualmente operavano anche i venditori del grossista Jusco per la vendita al dettaglio dei prodotti già acquistati da quest'ultimo - era da considerarsi "istituzionalizzata", con ciò evidentemente significando che tale sistema era indubbiamente palese e già certamente reso manifesto dalle clausole del contratto d'agenzia, oltre che dalle conoscenze personali del Maselli per i rapporti intrattenuti con la ditta Jusco e da quanto anche per fatti concludenti convenuto tra le parti. D'altro lato, lo stesso giudice ha però accolto la domanda di che trattasi ritenendo che il detto assetto organizzativo delle vendite era invece "atto a realizzare, in modo occulto, lo storno della clientela dall'agente esclusivista", con ciò ritenendo dunque posto in essere dalla preponente un comportamento ingannevole, subdolo e dissimulato: e ciò in divergenza e in contraddizione con quanto prima affermato e riportato.
Deve poi ritenersi non conferente il richiamo fatto dal giudice d'appello a non recente decisione di questa Corte (cit. Cass. S.U. n. 539 del 1977) nella parte, richiamata nell'impugnata sentenza, in cui si fa riferimento ad un "occulto stornare della clientela" da parte della società preponente, "con l'appropriazione indebita dei risultati del lavoro e con danno dell'agente", siccome appare riferita a situazione di fatto non assimilabile a quella risultante dagli accertamenti contenuti nella sentenza impugnata, in ordine ai quali v'è - come detto - il vizio di contraddittorietà di motivazione di cui prima s'è detto.
Ed ancora, nella sentenza d'appello e ravvisabile la denunziata violazione di legge unitamente a carenza di motivazione, per non avere il Tribunale tenuto conto della previsione legale (cui prima s'è fatto cenno) concernente la facoltà pattizia di derogare al diritto di esclusiva ponendo a questo diritto delimitazioni e restrizioni, e così stabilendo i limiti entro i quali viene conferito e dev'essere espletato il " mandato d'agenzia; ed analoghi rilievi devono pure farsi in ordine all'ulteriore espressa previsione legale di cui al secondo comma dell'art. 1748 c.c. concernente la deroga al diritto sulle provvigioni indirette. In relazione ad entrambe queste previsioni legislative la sentenza d'appello non risulta adeguatamente motivata, non avendo considerato - nè svolto alcuna argomentazione al riguardo - se le singole pattuizioni del contratto individuale, con i riferimenti al grossista e quindi anche, per logica connessione, al sistema delle vendite implicante la partecipazione del grossista tramite i suoi venditori oltre all'attività di agente del Maselli, potessero integrare, oppur no, una previsione pattizia di deroghe, incidenti sul contenuto del rapporto di agenzia ai sensi delle citate norme degli arto. 1743 e 1748 secondo comma c.c.. Carenza di motivazione, questa, che si riflette anche sulla corretta applicazione del medesimo art. 1748 secondo comma del quale risulta appunto, nel motivo di ricorso, fondatamente lamentata la falsa applicazione.
Appare ulteriormente insufficiente la motivazione dell'impugnata sentenza, oltre che in violazione del canone dell'interpretazione complessiva del contratto ex art. 1363 c.c., anche là dove fa riferimento alla espressa pattuizione del diritto di esclusiva, unitamente al diritto alle provvigioni sugli affari indiretti, senza peraltro valutare e interpretare questa previsione tenendo presenti gli ulteriori aspetti del sistema di vendita attuato dalle parti (quale accertato dallo stesso giudice d'appello) e da ritenersi quindi convenuti ed accettati dalle parti medesime, e cioè i punti concernenti l'attività di vendita svolta dal grossista (Jusco) mediante i propri venditori nonché i rapporti del Maselli con il detto grossista, e senza quindi compiere una sufficiente e argomentata indagine in ordine al preciso oggetto del mandato d'agenzia quale nel caso di specie effettivamente conferito, e conseguentemente in ordine all'ambito di efficacia della clausola di esclusiva (cfr. cit. Cass. n. 4872-1997). 4. - L'accoglimento del motivo ora esaminato rende superfluo ed assorbe l'esame degli altri due motivi del ricorso, denunziando la ricorrente con il secondo motivo falsa applicazione dell'art. 1748 secondo comma, c.c. sul rilievo che l'elusione dell'esclusiva avrebbe comunque comportato il diritto al risarcimento del danno e non il diritto alle provvigioni; e denunziando con il terzo motivo falsa applicazione dell'art. 2748 c.c. sotto il profilo temporale, e vizio di motivazione per omessa motivazione sulla estensione della condanna al periodo tra il 19 febbraio ed il 20 maggio 1987, nel quale il rapporto di agenzia era sospeso per malattia del Maselli. 5. - In conclusione, il primo motivo del ricorso dev'essere accolto, restando assorbiti gli altri motivi. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione al punto oggetto del motivo accolto, con rinvio della causa ad altro giudice di pari grado, designato come in dispositivo, il quale procederà a nuovo esame uniformandosi ai principi di diritto prima enunciati e tenendo conto dei rilievi sopra svolti, ed appronterà adeguata motivazione della propria decisione, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

p.q.m.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia la causa per nuovo esame alla Corte d'Appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso, in Roma, il 4 aprile 2001.
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