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Cassazione civile, sez. II 10/12/1991 n. 13260

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                           SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
   Dott.    Rocco             PAFUNDI                     Presidente
    "       Enzo              BENEFORTI              Rel. Consigliere
    "       Cesare            MAESTRIPIERI                     "
    "       Vincenzo          CARNEVALE                        "
    "       Franco            PAOLELLA                         "
ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
sul ricorso proposto
                                  da
MARGARONE ANTONIO; elett. dom. in  Roma  via  F.lli  Ruspoli,  8  c-o
l'avv. Raimondo Marini Clarelli; rapp. e difeso  dagli  avv.  Eduardo
Grasso e Cosimo D'Arrigo per delega a margine del ricorso.
                                                           Ricorrente
                                contro
CALARESE ANDREA, elett. dom. in Roma via s. Tommaso D'Aquino, 119 c-o
l'avv. Pietro Famiani; rapp. e difeso dall'avv. Roberto  Palazzo  per
delega a margine del controricorso.
                                                     Controricorrente
per l'ann. della sent. della C.A. di Catania in data 21.11-23.12.88.
Udita la relazione  della  causa  svolta  nella  pubbl.  udienza  del
27.6.90 del Cons. Beneforti.
Sono comparsi gli Avv.ti Eduardo Grasso e Cosimo  D'Arrigo  difensori
del ricorrente che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso.
È comparso l'avv. Roberto Palazzo difensore del  resistente  che  ha
chiesto il rigetto del ricorso.
Sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. dr. Sergio Lanni  che
ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo
Con atto del 6 giugno 1964 Carmela reale acquistò da Giovanna Motta, dai figli di questa Salvatore e Domenica Pellegrino e da Salvatore Calarese la terrazza di copertura di uno stabile, sito in Catania, via Ferri n. 15 e costruito dallo stesso Salvatore Calarese e dal fratello Andrea.
Con successivo atto del 12 agosto 1966 il predetto Carmelo Reale, tramite il procuratore Francesco Grasso vendette ad Antonio Margarone, attuale ricorrente, un appartamento che si assumeva essere stato costruito al settimo piano di detto edificio, sopra la suddetta terrazza.
Con citazione trascritta il 10 dicembre 1966 il Margarone convenne il venditore Reale ed il suo procuratore Grasso davanti al tribunale di Catania, chiedendo una sentenza di trasferimento ex art. 2932 cod. civ. in luogo dell'atto pubblico traslativo che il Reale non aveva inteso stipulare, rifiutandosi anche di consegnarli l'appartamento ormai ultimato.
Con sentenza del 16 febbraio 1968 il tribunale trasferì al Margarone la proprietà dell'appartamento e condannò il venditore Reale al risarcimento del danno, facendogli anche carico di provvedere alla cancellazione delle trascrizioni ed iscrizioni gravanti sull'immobile.
Il giorno 8 giugno successivo l'acquirente Margarone fu immesso nel possesso dell'immobile in forza della sentenza, dichiarata provvisoriamente esecutiva.
Sopravvenuto nel frattempo il fallimento dei costruttori fratelli Salvatore ed Andrea Calarese, il curatore citò in giudizio gli acquirenti di varie unità abitative comprese in detto edificio fra cui Carmelo Reale, chiedendo la revoca degli atti di trasferimento eseguiti dagli stessi Calarese.
La domanda fu accolta dal tribunale con sentenza del 30 novembre 1976.
Nel giudizio d'appello le parti, con verbale di conciliazione in data 20 febbraio 1981, concordarono di accettare la impugnata sentenza su alcuni punti fra cui quello in cui si statuiva che gli appartamenti venduti dai Calarese a Carmelo Reale e tre unità abitative cedute ad altri appartenevano alla fallita società di fatto fra gli stessi Calarese siccome facenti parte dell'edificio da loro costruito.
Successivamente, Antonio Margarone, con atto del 23 dicembre 1981 citò i fratelli Andrea e Salvatore Calarese davanti al tribunale di Catania chiedendo che, a norma dell'art. 395 cod. proc. civ., fossero revocati o comunque dichiarati inefficaci nei suoi confronti la sentenza 30 novembre 1976 ed il verbale di conciliazione 20 febbraio 1981 intervenuti nella causa promossa dal curatore del fallimento.
Sosteneva l'attore che l'accertata simulazione del contratto 6 giugno 1964 con cui Carmelo Reale si era reso acquirente della terrazza non era opponibile a lui che in buona fede aveva acquistato l'appartamento costruitovi dal proprietario apparente, anche perché la trascrizione della citazione giudiziale 10 dicembre 1966 e della sentenza 16 febbraio 1968 che gli trasferiva la proprietà dell'appartamento era anteriore alla domanda di accertamento della simulazione del contratto 6.6.1964.
Il convenuto Andrea Calarese oppose che la simulazione di quel contratto era invece opponibile, a norma dell'art. 1415 cod. civ., al Margarone il quale aveva acquistato l'appartamento ben sapendo che i Calarese erano in stato di dissesto; che il venditore Carmelo Reale era l'alter ego dei fratelli Calarese, suocero di Andrea e simulato acquirente di quanto oggetto dell'atto 6 giugno 1964 (otto appartamenti e non soltanto la terrazza).
In via riconvenzionale, il convenuto chiese che, previa declaratoria in suo favore della proprietà dell'appartamento sito al settimo piano, l'attore fosse condannato al rilascio ed alla restituzione dei frutti; in subordine, che la compravendita fosse dichiarata risolta per grave inadempimento dell'acquirente, surrogandosi esso convenuto nei diritti spettanti al venditore Carmelo Reale.
Il tribunale di Catania, con sentenza del 10 luglio 1986, disattese la domanda attrice di revocazione e le domande riconvenzionali di declaratoria della proprietà in capo al convenuto e di rilascio dell'appartamento, in accoglimento della domanda subordinata del Margarone, dichiarò a lui non opponibile la sentenza 30 novembre 1976 ed il verbale di conciliazione 20 febbraio 1981.
Accogliendo, peraltro, la domanda riconvenzionale subordinata, dichiarò risolto il contratto d'acquisto dell'appartamento de quo, a causa del grave inadempimento dell'acquirente Margarone posto in essere con il mancato versamento del residuo prezzo in L. 5.823.040 nel termine assegnatogli dalla sentenza 16 febbraio 1968.
La Corte d'appello di Catania, con sentenza 23 dicembre 1988, provvedendo sull'appello del Margarone e su quello incidentale di Andrea Calarese, ha dichiarato, invece, opponibile al Margarone la simulazione del contratto 6 giugno 1964, accertata con la sentenza 30 novembre 1976 del tribunale di Catania e con verbale di conciliazione 20.2.1981 ed ha, perciò, condannato lo stesso Margarone al rilascio dello appartamento ed alla restituzione dei frutti, ponendo a base della decisione i seguenti argomenti di prova logica e di prova storica.
Come il Margarone, giusta sentenza passata in giudicato, era risultato in mala fede al momento della immissione in possesso dell'appartamento così doveva escludersi che egli l'avesse acquistato in buona fede, eventualità, questa, contraddetta, "in primis", dalle dichiarazioni che lo stesso Margarone verosimilmente riferendosi ad epoca anteriore all'acquisto aveva reso nel processo penale e secondo cui Andrea Calarese si era sempre qualificato come proprietario dell'intero edificio.
Di ciò era poi conferma nella deposizione del teste Filippo Di Marco, custode del cantiere edile, il quale, sentito nel giudizio di primo grado, aveva riferito che il Margarone, in occasione di una visita all'appartamento, era stato da lui avvertito della possibilità che esso figurasse in proprietà al Reale, suocero del costruttore Andrea Calarese, il quale era stato dichiarato fallito mentre i lavori erano stati proseguiti da Francesco Grasso.
Nè tale deposizione poteva dirsi scalfita dalla testimonianza di Gaetano Triangali Sebastiano Pulvirenti e Santo Vinciguerra, solo perché essa divergeva da queste su taluni particolari.
Il teste Di Marco, a causa della sua qualità di dipendente del Grasso e custode del cantiere era, infatti, stato in grado di conoscere meglio degli altri quei particolari e, d'altra parte, contraddizioni erano presenti anche nelle altre testimonianze citate.
Anche a prescindere dalle dichiarazioni rese dal Margarone nel processo penale nonché dalla deposizione Di Marco, varie considerazioni d'ordine logico portavano a ritenere che lo stesso Margarone, all'atto dell'acquisto, fosse stato in condizioni di supporre che l'appartamento appartenesse non già al venditore Carmelo Reale bensì ai falliti fratelli Calarese.
Era, invero, impensabile che il Margarone, persona dalla vasta esperienza acquisita negli atti gradi della Guardia di Finanza, non si fosse adeguatamente informato sulle condizioni economiche dei costruttori e sulla esistenza di un valido titolo in capo al venditore e che in particolare, gli fossero sfuggite le note esteriori che rendevano evidente l'artificiosità del contratto 6 giugno 1964 siccome stipulato al solo fine di sottrarre alla garanzia patrimoniale dei creditori dei Calarese, mediante vendita fittizia i vari appartenenti dello stabile che, fino al sesto piano compreso, erano stati sicuramente costruiti dagli stessi Calarese Salvatore e Andrea soci di fatto e di cui il secondo era genero del venditore Carmelo Reale.
Per di più il titolo di proprietà di quest'ultimo, cioè, l'atto pubblico 6 giugno 1964, risultava stipulato nell'imminenza della declaratoria del fallimento dei Calarese, poi esteso alla società di fatto.
L'atto, sintomaticamente era stato congegnato come vendita al reale della sola terrazza di copertura del VI piano, mentre, come era risultato in sede penale, esso dissimulava la vendita dei già esistenti appartenenti del VII ed VIII piano, fra cui quello poi rivenduto da Carmelo Reale al Margarone.
Gli argomenti utilizzati dal tribunale non valevano, d'altra parte a fare ritenere che il Margarone fosse in buona fede al momento dell'acquisto.
Innanzi tutto, egli aveva acquistato l'appartamento da Francesco Grasso, non già quale assuntore del concordato del fallimento Calarese, bensì quale procuratore generale di Carmelo Reale, suocero del fallito Andrea Calarese.
Inoltre, non fornivano sufficienti garanzie di attendibilità le risultanze negative dei pubblici registri immobiliari, poiché lo stesso Carmelo Reale si era dichiarato proprietario di taluni appartamenti compresi in un edificio che poi era risultato interamente costruito dal genero Andrea Calarese già prima della apparente compravendita della terrazza di copertura all'acquirente Margarone doveva ritenersi opponibile la simulazione del contratto 6 giugno 1964, accertata con la sentenza 6 giugno 1976 e confermata con il successivo verbale di conciliazione 20 febbraio 1981, restando, conseguentemente, superato anche l'appello principale proposto dallo stesso Margarone contro la sentenza di accoglimento della domanda subordinata di Andrea Calabrese, intesa ad ottenere la risoluzione del contratto 12 agosto 1966.
L'impugnazione risultava in ogni caso infondata, (per le ragioni esposte in sentenza).
Contro tale decisione Antonio Margarone ha proposto tempestivo ricorso per cassazione articolato in due motivi d'annullamento ed a cui Andrea Calarese resiste con controricorso.
I difensori delle parti hanno poi depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1415, 2697 e 2729 cod. civ. nonché omessa ed insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 comma primo n. 3 e 5 cod. proc. civ.).
Lamenta, in particolare, che il giudice d'appello, nell'escludere la sua buona fede all'atto dell'acquisto dell'appartamento "de quo", abbia fondato il proprio convincimento sulla deposizione del teste Filippo Di Marco nonostante che questi nei suoi colloqui con il ricorrente si fosse espresso in termini dubitativi sull'appartenenza di esso a Carmelo Reale piuttosto che al di lui genero Andrea Calarese, non autorizzando, perciò, l'interpretazione della Corte d'Appello secondo cui il teste aveva informato il Margarone del fatto che l'immobile, forse, non era di proprietà del Reale.
Quanto il teste Di Marco riferì di avere detto al Margarone, secondo il ricorrente Margarone non era tale da ingenerare in lui seri dubbi circa l'identità dell'effettivo proprietario dell'appartamento e ciò a prescindere dalla dubbia attendibilità dello stesso Di Marco, il quale, imputato del reato di falsa testimonianza, fruì di amnistia, da lui accettata.
Aggiunge il ricorrente che la Corte d'appello nella impugnata sentenza ha, poi, ritenuto le deposizioni dei testi Tringali, Pulvirenti e Vinciguerra inidonee a scalfire l'attendibilità del teste Di Marco, nonostante che esse fornissero elementi decisivi a favore della buona fede dello stesso ricorrente, narrando, in particolare, come in occasione delle sue visite all'appartamento, il Margarone avesse presentato il Reale od il Grasso come il venditore.
Il giudice d'appello, secondo il ricorrente, che erroneamente fondato il convincimento che Carmelo Reale fosse solo un simulato venditore dell'appartamento "de quo" anche sul rilievo che questo facesse parte di un edificio che era stato costruito interamente dai fratelli Calarese Salvatore ed Andrea genero di quest'ultimo del Reale e che l'apparente acquisto della terrazza fosse avvenuto proprio nell'imminenza del fallimento, circostanze queste che, a dire dello stesso ricorrente, potevano ritenersi idonee, semmai, a fornire la prova della simulazione (già accertata dal giudicato) e non già la conoscenza di essa da parte dell'acquirente.
Gli elementi utilizzati dalla Corte d'appello come presunzioni semplici, lungi dal dimostrare che l'acquirente Margarone avesse acquistato l'appartamento con la consapevolezza che il venditore non ne era il proprietario, costituivano, invece, una concreta apparenza dell'esatto contrario.
Sufficiente ad evidenziare la buona fede dell'acquirente Margarone era, perciò, la circostanza che Carmelo Reale risultasse acquirente della terrazza sulla cui area insisteva l'appartamento de quo; che egli si comportasse come proprietario e come costruttore del settimo pino di cui l'appartamento stesso faceva parte, com'egli si era, del resto dichiarato ai terzi ed all'acquirente; che l'acquisto fatto dal Margarone fosse reale, non surrettizio nè anomalo.
Privo di qualsiasi valore risulta, infine, secondo il ricorrente, l'argomento della sua pregressa esperienza di alto ufficiale della Guardia di Finanza da cui la Corte del merito ha tratto ulteriore ragione di convincimento nel senso in cui egli avesse svolto indagini preventive sulla esistenza, o non, di un valido titolo d'acquisto da parte del venditore Carmelo Reale.
Il Margarone fece, infatti, i prescritti accertamenti ipocatastali e quanto gli era risultato "aliunde" escludeva che il Reale fosse un simulato venditore.
Il motivo è fondato.
Il convincimento espresso dalla impugnata sentenza e secondo cui il Margarone all'atto dell'acquisto in questione versava in mala fede ed era perciò a lui opponibile l'accertata simulazione dell'immobile, non è, infatti, sostenuta da una adeguata e corretta valutazione delle risultanze.
Gli elementi di prova che, secondo la Corte d'appello, convergono nella dimostrazione di un acquisto compiuto dal Margarone in mala fede risultano valutati dalla stessa Corte al di là del loro effettivo significato di semplici fonti di dubbio o sospetto, tali da non giustificare la conclusione di certezza processuale, cui invece perviene l'impugnata sentenza sulla base di elementi intrinsecamente equivoci e che tali restano anche dopo una valutazione globale.
In particolare, la dichiarazione resa dal Margarone nel processo penale e secondo cui Andrea Calarese sempre si qualificò proprietario dell'intero edificio, se da un lato era legittimamente utilizzabile dalla Corte d'appello, dall'altro, difettava di una sua precisa collocazione cronologica, al che, in assenza di altri riscontri, l'impugnata sentenza non poteva sopperire, come ha fatto, ritenendo, assiomaticamente, che era verosimile riferire ad epoca anteriore all'acquisto le dichiarazioni attribuite dal Margarone al predetto Andrea Calarese.
Anche il giudizio di maggiore attendibilità espresso dalla Corte del merito a favore della testimonianza di Filippo Di Marco, custode del cantiere edile, rispetto a quella difforme degli altri testi sopra citati mentre per un verso non appare giustificato, secondo logica giuridica, dal semplice rilievo che il primo teste meglio degli altri conoscesse i fatti, per altro verso nemmeno tiene conto dei termini dubitativi in cui si era espresso proprio quel teste, dichiarando di aver fatto presente al compratore Margarone la semplice possibilità che l'appartamento in trattativa figurasse di proprietà di Carmelo Reale suocero del costruttore Andrea Calarese.
Altrettanto inconsistente risulta la presunzione che l'acquirente Margarone fosse stato consapevole e delle condizioni economiche del costruttore dichiarato fallito e dei suoi particolari rapporti con il venditore, quale la Corte d'appello ha ritenuto di poter trarre dalla pregressa esperienza del Margarone già alto ufficiale della Guardia di Finanza nonché dalle note esteriori evidenziati la simulazione del contratto in data 6 giugno 1964 con cui il venditore Carmelo Reale si era reso acquirente della terrazza di copertura del sesto piano ove già insistevano altri due piani del fabbricato.
Il rilievo che il contratto fosse stato congegnato in modo tale da fare risultare venduta al Reale la terrazza di copertura dell'ultimo piano (il sesto) dell'edificio come se sopra di questa non si trovassero altri piani già edificati, non poteva logicamente condurre da solo alla conclusione che il Margarone avesse acquistato l'appartamento con la consapevolezza che simulato era il titolo di proprietà in capo al venditore suo dante causa e che in particolare al momento del citato contratto 6 giugno 1964 il settimo piano, di cui era parte l'unità abitativa acquistata dal Margarone, fosse stato già costruito.
Si rendeva, infatti, necessaria, al riguardo, l'acquisizione di ulteriori elementi indiziari idonei a fondare una valida presunzione nel senso che l'acquirente Margarone non solo fosse stato a conoscenza della simulazione del titolo in capo al suo dante causa, ma anche avesse avuto conoscenza del fatto che l'appartamento da lui acquistato, anziché essere stato costruito dopo la stipulazione del contratto del 1964 preesisteva ad esso.
Soltanto in questo caso la versione del venditore Reale, richiamata dalla stessa Corte d'appello e secondo cui egli era il proprietario degli appartamenti del settimo e dell'ottavo piano costruiti dal genero Andrea Calarese, avrebbe potuto trovare smentita nella effettiva realtà delle cose, nota al Margarone.
L'indagine relativa allo stato soggettivo dell'acquirente avente causa dal titolare apparente ai sensi dell'art. 1415 cod. civ., doveva d'altra parte, essere finalizzata non solo all'accertamento della di lui certezza che il titolo d'acquisto del dante causa era simulato ma anche alla individuazione del fine specifico perseguito dal compratore con l'acquisto in questione.
Quando, infatti, la simulazione, come nella specie, da uno dei contraenti o partecipanti all'accordo simulatorio sia opposta al terzo avente causa dal titolare apparente, come questa S.C. ha già avuto occasione di avvertire, non è sufficiente la mera scienza della simulazione stessa ma si richiede che il terzo, accordandosi con il titolare apparente, o abbia favorito il simulato alienante per assicurare lo scopo pratico della simulazione nei confronti dei terzi od abbia tratto personale profitto dalla simulazione, in danno del simulato alienante (cfr. sentenza 20.2.1986 n. 2004), esulando, in caso contrario, l'estremo della mala fede secondo la specifica nozione che la norma dell'art. 1415 risulta avere recepito.
L'indagine della Corte del merito, oltre ad essere manchevole in ciò che attiene alla prova della generica consapevolezza, nell'acquirente Margarone, che simulato fosse l'acquisto del titolare apparente suo dante causa, risulta dunque indebitamente limitata all'accertamento della mera scienza della simulazione, non essendosi la Corte d'appello nemmeno posto il problema di quale fosse lo specifico scopo pratico perseguito dal Margarone con l'acquisto dell'appartamento in dipendenza della eventuale sua consapevolezza della simulazione.
In accoglimento del motivo, l'impugnata sentenza deve, pertanto, essere cassata per insufficienza ed illogicità della motivazione su punto decisivo della controversia, con rinvio della causa ad altro giudice che riesaminerà le risultanze attenendosi al principio di diritto ed alle direttive d'indagine sopra enunciati e provvedendo, inoltre, al regolamento delle spese del presente giudizio (art. 385 cod. proc. civ.).
Resta, così, assorbito il secondo motivo di ricorso con cui denunciandosi la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1460 cod. civ., si ripropone la questione, avente carattere del tutto subordinato, relativa alla risolvibilità del contratto di compravendita in data 12 agosto 1966 intervenuto fra Carmelo Reale e Antonio Margarone.

p.q.m.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Messina.
Così deciso il 27 giugno 1990.
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