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Cassazione civile, sez. III 04/05/1994 n. 4285

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                         SEZIONE III CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
   Dott.    Alberto           SCIOLLA LAGRANGE PUSTERLA   Presidente
    "       Ubaldo            FRANCABANDERA               Consigliere
    "       Luigi             RAGOSTA                     Rel. "
    "       Luigi F.          DI NANNI                         "
    "       Giovanni B.       PETTI                            "
ha pronunciato la seguente
                              SENTENZA
sul ricorso proposto
                                 da
CASCONE SALVATORE Concessionario LANCIA per SIRACUSA, nato  a  Ragusa
il 15.12.30 e residente a Siracusa - Via Columba n. 95  elettivamente
domiciliato a Roma - Via Generale Gonzaga del  Vodice  n.  4  c-o  lo
studio dell'Avv. Napoleone Bartuli rappresentato e difeso dall'Avv.to
Vincenzo Poidimani con studio in Siracusa - Viale S. Panagia n. 90 di
cui manca la procura ad hoc.
                                                          Ricorrente
                               contro
CANNATA SALVATORE nato a Pozzallo l'11.5.31 e  residente  a  Siracusa
elettivamente domiciliato in Roma - Via Bruno  Buozzi  n.  5  c-o  lo
studio dell'Avv. Leopoldo Lambardi di  San  Miniato  rappresentato  e
difeso dall'Avv.to Salvatore Crispino giusta procura  a  margine  del
controricorso.
                                                    Controricorrente
Visto il ricorso avverso la sentenza n. 702-90 della Corte di Appello
di Catania del 30.5.90-25.9.90 (RG. 269-89).
Udito il Consigliere Relatore  Dott.  Luigi  Ragosta  nella  pubblica
udienza del 15.10.1993.
Udito il P.M., in persona del Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Dettori che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo
Con atto notificato il 12 maggio 1982 Cascone Salvatore conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Siracusa Cannata Salvatore e premesso che questi, con contratto del 9 aprile 1982, gli aveva commissionato un'auto nuova Lancia Trevi 2000 per il prezzo di L. 14.602.000, in parziale pagamento del quale aveva accettato in permuta l'auto Fiat 131 di proprietà del medesimo, alla quale era stato attribuito il valore di L 8.000.000; che il detto veicolo, rimasto in possesso del convenuto, aveva subito gravi danni in un incidente stradale; che aveva proposto ad esso Cannata o la riduzione del valore del bene da permutare o il pagamento dell'intero prezzo; che con atto del 28 aprile 1982 il Cannata aveva revocato la procura a vendere l'auto usata, rilasciatagli in precedenza e gli aveva comunicato inoltre di non volere più acquistare l'auto commissionata; che lo inadempimento contrattuale del predetto - gli aveva causato dei danni, tutto ciò premesso chiedeva che fosse dichiarato tale inadempimento e che il Cannata fosse condannato a risarcirgli il danno, da valutarsi in L.8.000.000, pari al valore dell'auto oggetto della permuta o, in via subordinata, in L.2.362.000, pari al mancato guadagno, ed, in ogni caso, con la svalutazione monetaria e gli interessi legali.
Il Cannata deduce la infondatezza della domanda, assumendo che dopo l'incidente le parti avevano concordato di fare riparare l'auto danneggiata e di mantenere inalterato il valore convenuto in precedenza; che le trattative si erano, però, concluse negativamente; che la revoca della procura non aveva arrecato alcun pregiudizio al Cascone; che, comunque, l'indennizzo di L.8.000.000 non era "correlativo" al contratto, mentre quello di L. 2.362.000 non era "giustificabile".
Con sentenza del 16 settembre 1988 il Tribunale di Siracusa, in accoglimento della domanda subordinata, condannava il Cannata al pagamento in favore del Cascone, a titolo di lucro cessante, della somma di L.2.362.000 con gli interessi legali dal 18 maggio 1982 e la svalutazione monetaria.
Avverso la sentenza il Cannata proponeva appello cui il Cascone resisteva.
Con sentenza del 30 maggio 1990 la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda del Cascone.
La Corte osservava che il danneggiamento dell'auto Fiat 131 comportò automaticamente il superamento degli originari accordi, non potendosi più attribuire al veicolo usato il valore di L.8.000.000; che per l'attuazione di tali accordi, come si desumeva chiaramente dalla prova testimoniale, il Cannata si era impegnato a sostenere le spese occorrenti per la riparazione del veicolo; che incombeva all'attore l'onere di provare l'inadempimento del convenuto alla obbligazione assunta; che non potava ritenersi dimostrata la inadempienza del Cannata all'accordo concernente la riparazione dell'auto Fiat 131 e, quindi, la illegittimità della revoca della procura a vendere, nonché l'addebitabilità al medesimo della "mancata vendita dell'autovettura nuova".
Avverso detta sentenza il Cascone ricorreva per cassazione sulla base di un unico motivo.
Il Cannata resisteva con controricorso.

Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c.. Insufficiente e contraddittoria motivazione in riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c..
Assume che la Corte di Appello è pervenuta alla "erronea affermazione, secondo cui incombeva all'attore l'onere di provare l'inadempimento del convenuto, in base ad insufficiente e contraddittoria motivazione, ed invertendo "i principi di cui all'art. 2697 c.c."; che in applicazione del secondo comma del citato articolo il Cascone doveva provare soltanto i fatti costituenti il fondamento della domanda; che la prova della estinzione delle obbligazioni, accertata a carico del Cannata, incombeva al medesimo; che la "carenza" e la "insufficienza" di prove rendeva inaccoglibili le eccezioni del debitore.
Le censure sono infondate.
Ed invero, la Corte di merito, all'esito di un analitico esame dei dati emergenti dagli atti e di un'accurata valutazione degli stessi, riteneva che nell'ordine del 9 aprile 1982, con il quale il Cannata commissionava al concessionario Cascone l'acquisto di una Lancia Trevi 2000 per il prezzo di L.14.602.000, con permuta, in parziale pagamento del prezzo suindicato, della sua auto usata Fiat 131, valutata in L.8.000.000, era ravvisabile non una mera proposta di acquisto, bensì un contratto di compravendita "perfezionato", di cui erano state stabilite tutte le modalità e le condizioni e la cui efficacia era stata, però, rinviata ad un momento successivo.
La stessa Corte, poi, considerati il contenuto della prova testimoniale e le circostanze di cui ai capitoli di prova formulati dall'attore, riteneva che, a seguito dell'incidente occorso all'auto Fiat 131, con conseguente danneggiamento, l'originario accordo era rimasto valido ed operante, ma che ai fini della sua attuazione, si era addivenuto fra le parti ad un ulteriore accordo, in forza del quale il Cannata aveva assunto l'obbligo di sostenere le spese occorrenti per la riparazione dell'auto.
Ritenuti intercorsi fra le parti tali accordi i secondi Giudici, in base al criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., hanno inoltre affermato che incombeva sull'attore l'onere di provare il dedotto inadempimento del convenuto Cannata, e che le "carenze probatorie" rilevate dai primi Giudici si risolvevano a danno di esso Cascone.
L'affermazione è corretta.
Ed invero, in materia di obbligazioni, nel caso in cui si chieda la esecuzione del contratto e l'adempimento delle relative obbligazioni è sufficiente che l'attore provi il titolo, costituente la fonte del diritto vantato, e cioè la esistenza del contratto, quindi, dell'obbligo che si assume inadempiuto.
Nel caso in cui l'attore chieda, invece, la risoluzione del contratto o il solo risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento della controparte, per potersi fare luogo alla declaratoria di inadempimento e di conseguente responsabilità per danni non basta provare la esistenza del contratto, da cui è sorta la obbligazione, che si assume inadempiuta, ma è necessario che l'attore provi il fatto costitutivo dell'inadempimento e le circostanze "inerenti in funzione delle quali esso assume rilevanza".
Ed il diritto al risarcimento dei danni sorge con il verificarsi di un effettivo e reale pregiudizio, incidente sulla sfera patrimoniale del contraente danneggiato, che, al fine dello accoglimento della sua domanda risarcitoria, deve fornire la prova altresì di tale pregiudizio e della entità dello stesso.
Sicché, nella specie, l'attore, che con la sua domanda tendeva ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento del Cannata all'accordo relativo alla riparazione dell'auto Fiat 131 (inadempimento al quale "si aggiungeva" la revoca della procura a vendere la detta auto e la comunicazione di non volere più acquistare l'auto commissionata) era tenuto, appunto, a provare innanzi tutto il fatto costitutivo dell'inadempimento, con la conseguenza che la insufficienza di prova al riguardo non poteva che essere posta a suo carico e valutata in senso a lui sfavorevole.
Ed infatti, la Corte di merito, all'esito di un esauriente esame delle deposizioni dei testi escussi ha evidenziato che il mancato adempimento dell'obbligo assunto dal Cannata è stato determinato "dal contrasto insorto in ordine allo ammontare delle riparazioni" stanti le differenti valutazioni dei carrozzieri di fiducia delle due parti, ma che in base a tali deposizioni non era dato stabilire con certezza "l'effettivo importo delle riparazioni", "la somma che il Cannata era in realtà disposto a sborsare" e "la previsione o meno di un indennizzo per il deprezzamento del veicolo".
Circostanze queste, che, rimanendo incerte, non consentivano di stabilire a quale delle parti in causa fosse addebitabile la mancata esecuzione dell'accordo relativo alla riparazione dell'auto Fiat 131.
Esatta, quindi, è la conclusione alla quale sono pervenuti i secondi Giudici di non potere ritenere dimostrato l'inadempimento del Cannata, la illegittimità della revoca da parte sua non della procura a vendere e l'addebitabilità al medesimo della mancata vendita dell'auto Lancia Trevi 2000, ed in conseguenza di accogliere la domanda risarcitoria del Cascone.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente le spese del presente grado del giudizio fra le parti.

p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso;
dichiara compensate integralmente le spese del presente grado del giudizio fra le parti.
Così deciso il 15 ottobre 1993.
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